Università La Sapienza. Benedetto XVI inaugura l’Anno accademico
Dopo la vibrata protesta del professor Marcello Cini, che ha raccolto le firme di molti docenti, il programma del Papa all’inaugurazione dell’anno accademico è stato modificato. Il 17 ottobre non farà più una lectio magistralis di teologia, materia espunta dalle università, ma una «riflessione» dopo la cerimonia annuale che vedrà protagonisti il segretario del Pd Veltroni e il ministro Mussi, che subito dopo usciranno dall’aula magna, A ricevere il Papa solo il rettore Guarini e uno studente e la diretta di RaiUno. L’università sarà massicciamente occupata da polizia e carabinieri.Non è la prima volta: Paolo VI venne alla Sapienza nel 64, Wojtyla nel '91. Giovanni Paolo II inaugurò l'anno accademico di Roma Tre nel 2002
Ma sale la protesta. Si mobilitano i collettivi studenteschi, che temono non a torto che il papa riproporrà la trista equazione pena di morte uguale aborto. La Rete per l’autoinformazione organoizza per martedì prossimo un’assemblea pubblica di discussione e propone «a tutta la società laica di venire a difendere simbolicamente la Minerva, la potenza dei saperi di parte e del conflitto». E «Facciamo Breccia» prepara un'ironica via crucis nella città universitaria puntando il dito contro l'omofobia e la misoginia della Chiesa.
l’Unità 12.1.08
Statuto e Codice etico, nel Pd sarà lotta all’ultima virgola
Si riuniscono le commissioni. Il tavolo gay proporrà una rappresentanza per le proprie istanze, così come avviene per le donne. Sarà accolta?
di Simone Collini
Statuto, Manifesto dei valori, Codice etico. Oggi si riuniscono le tre commissioni del Partito democratico e, a giudicare dall’aria che si respira il giorno della vigilia, la discussione non sarà un semplice pro forma. Soprattutto per quanto riguarda la carta che regola la vita del partito. E non è per quella che già è stata ribattezzata la «norma salva Prodi» - «la previsione secondo cui il segretario viene indicato come candidato del Pd alla carica del presidente del Consiglio diviene efficace a partire dalla XVI legislatura» - che al di là della sorpresa e delle letture dietrologiche fiorite ieri è stata inserita nella bozza di Statuto già a metà dicembre col consenso di tutti. Il punto è che su alcuni aspetti del documento che sarà discusso oggi ci sono delle posizioni che il presidente della commissione Salvatore Vassallo non esita a definire «non conciliabili». Espressione che non convince quanti puntano ad arrivare, nella votazione del testo il 2 febbraio, a un via libera unitario e poi, entro la fine del mese prossimo, a un’approvazione a larghissima maggioranza da parte dell’Assemblea costituente. Un obiettivo a cui puntano sia quanti sostengono la bozza messa a punto dal presidente Vassallo (come Walter Vitali, che non vede «posizioni inconciliabili» e piuttosto nota che «gli scogli fondamentali sono già stati superati») che quanti hanno presentato degli emendamenti per modificarla (come Maurizio Migliavacca e Nicodemo Oliverio).
Quale che sia l’esito finale della discussione, al momento sono quattro i punti su cui non è stato raggiunto l’accordo: se far partecipare alle primarie per eleggere il segretario chiunque si presenti il giorno delle elezioni (testo base) o se soltanto coloro che si sono iscritti almeno una settimana prima all’Albo dei sostenitori (emendamento Migliavacca-Oliverio); se far votare ai «sostenitori» (cioè elettori e simpatizzanti) tutti i candidati segretario che abbiano incassato almeno il 10% dei consensi tra gli «aderenti» (cioè gli iscritti) o se invece (emendamento) soltanto i due candidati più votati nella prima fase congressuale; se dar vita ad un’Assemblea nazionale in cui tutti i mille membri siano stati eletti in connessione col segretario o se (emendamento) riservare il 30% dei posti alla scelta delle regioni e il 10% ai parlamentari; se adottare o meno le primarie per la scelta dei candidati parlamentari.
Mentre nei giorni scorsi è sceso in campo il coordinatore della fase costituente Goffredo Bettini in difesa della bozza Vassallo e dell’ampio potere decisionale riservato ai «sostenitori», ieri è stato Pier Luigi Bersani a lanciare un messaggio in difesa degli emendamenti presentati. «Spero di sbagliarmi ma mi pare che emergano idee molto differenti sulla natura del nuovo partito», dice il ministro per lo Sviluppo economico. «Ognuno può comprendere che quello sulle regole è un tema dirimente sul quale non possiamo permetterci equivoci». E Bersani non nasconde di avere perplessità circa un’elezione in cui può partecipare chiunque, senza un filtro che eviti il rischio interferenze e inquinamenti. Così come non lo convince l’ipotesi di far correre nella sfida finale come candidati segretario tutti quelli che abbiano incassato il 10% dei consensi tra gli aderenti, perché secondo il ministro è più opportuno che la scelta conclusiva sia tra due o tre piattaforme politiche ben definite piuttosto che tra più proposte che rischiano di essere indistinguibili.
Ma non sarà solo in commissione Statuto che la discussione sarà serrata. Se nella bozza del Manifesto dei valori è stato inserito il «riconoscimento della rilevanza nella sfera pubblica, e non solo privata, delle religioni», c’è chi, come la manager dell’Eni (e moglie dell’amministratore delegato di Unicredit) Sabina Ratti-Profumo, ha presentato un emendamento che chiede la cancellazione di questa parte. Altro nodo che dovrà affrontare la commissione Statuto e anche quella del Codice etico arriva dal Tavolo Lgbt (lesbiche, gay, bisex e transessuali), che propone di formalizzare una struttura che rappresenti le istanze dei loro sostenitori e aderenti, così come è prevista per le donne del Pd. Praticamente scontato il voto contrario delle componenti cattoliche del partito.
l’Unità 12.1.08
Quella «Legge Truffa» bocciata da Salvemini
di Bruno Gravagnuolo
INEDITI Nel 1954 verso la fine del centrismo degasperiano un giovane studioso scrive al grande antifascista e lo rimprovera di assecondare le tendenze liberticide per difendere la libertà. Ne nasce un confronto esemplare e ancora attuale
Ci voleva una buona dose di improntitudine, e di sventato coraggio giovanile, di là del rispetto dovuto, per strattonare così quel grand’uomo. Ma il giovane sventato si fece prendere sul serio. E il grand’uomo non solo rispose, ma addirittura lasciò intravedere qualche «crepa» nel suo pensiero. E fu indotto a chiarire, e a chiarirsi. Con la proverbiale onestà intellettuale che lo rese famoso. Il giovane sventato è Giuseppe Tamburanno, oggi Presidente della Fondazione Nenni, storico del socialismo e studioso di Gramsci, all’epoca militante di sinistra ed ex comunista precoce, che con la qualifica di avvocato - aveva studiato legge - si rivolge da Foggia al suo interlocutore. E il grande uomo è Gaetano Salvemini, antifascista leggendario, reduce da Harvard, storico insigne, e socialista in gioventù, maestro di Gobetti (lo abbiamo celebrato il 5 e il 7-9 2007 con un ritratto e col Dizionario delle Idee per «Le Chiavi del Tempo»).
Un carteggio sui generis, quello tra i due, avviato dal giovane allora sconosciuto e in cerca di «sponde» e maestri da interrogare, e da «strigliare». Proprio come sarebbe accaduto circa due anni dopo, sempre per iniziativa di Tamburrano, questa volta con Norberto Bobbio come destinatario. E a comporre una trama di relazioni destinate a durare e a essere poi pubblicate, come nel caso del carteggio con Bobbio dal 1956 al 2001, di cui già vi parlammo il 3 -11- 2007 su queste pagine: Norberto Bobbio, Giuseppe Tamburrano, Carteggio su marxismo, liberalismo, socialismo (Editori Riuniti). Bene se con Bobbio i «temi» saranno dottrina dello stato, marxismo e libertà, stavolta l’innesco è più immediato. Sono la «liceità» e i «limiti» dell’anticomunismo che allora veniva praticato dalla Dc e dal suo centrismo in piena guerra fredda. In una con la discussione sulla cosidetta «legge truffa» (così la battezzo Pajetta), che avrebbe assegnato il 66% dei seggi alla lista capace di guadagnare il 50% dei voti più uno.
Attorno e dentro questi due argomenti, ve ne sono poi altri. L’importanza della Costituzione repubblicana; il nesso tra libertà formale e sostanziale, il totalitarismo, il clericalismo, la vera natura del Pci. E se sia lecito e giusto consentire ai «totalitari» di usufruire delle libertà che vorebbero abbattere. Temi vecchi e attuali, come si vede, non solo di dottrina, ma anche relative alle tecniche elettorali buone ad assicurare governabilità e alternanza.
Per questo, grazie alla cortesia di Tamburrano che ci ha «aperto» le sue carte, abbiamo voluto presentarvi questa discussione di allora. Pubblicando anche una parte delle due lettere, e scegliendone il «cuore»: democrazia e anticomunismo. Non solo perché il tutto ci pare esemplare di uno stile di confronto. Ma anche perché una qualche conclusione durevole quel confronto la raggiunse, e merita di essere «tesaurizzata». Dunque Tamburrano attacca: voi Professore in nome dell’anticomunismo lasciate che vengano perpetrate ingiustizie! Accettate discriminazioni verso il Pci e rischiate di fare come i liberali nel 1922: per combattere il sovversivismo e la dittatura appoggiate la soppressione della libertà. E il riferimento è alla Celere, a Scelba, alle minacce di mettere fuori legge il Pci, e a un’idea troppo angusta e formalista delle libertà. Non solo. Salvemini per Tamburanno sottovaluta il peso liberatorio della Costituzione repubblicana, e finisce per rimpiangere lo Satuto albertino, magari opportunamente ripulito dalle scorie della legislazione fascista.
E Salvemini? Pare scosso, ma non demorde da certe sue convinzioni. Meglio sarebbe stata, dice, una Costituente che varasse un corpo organico di leggi e non di princìpi (stante che da «anglofilo» egli preferiva il diritto consuetudinario e non codificato: il costume, l’etica civile). Quanto all’anticomunismo, precisa: sono antitotalitario. Nemico del totalitarismo clericale e del comunismo. Ma per ora, aggiunge, il primo mi lascia parlare, mentre il secondo mi toglierebbe la parola. Sicché: rinuncino i comunisti alla dittattura, e io mi schiererò con loro contro ogni oppressione. E nel frattempo? Nel frattempo per Salvemini, lotta distinta contro la Dc, almeno fino a completa revisione democratica del Pci. Ancora Salvemini puntualizza: giusto escludere il Pci da polizia e sicurezza. Ingiusto dalle altre professioni. E inoltre, dice Salvemini: mi batterò per l’eguaglianza vera e sostanziale, senza di cui non v’è libertà. Ma a condizione che non sia un pretesto per la minoranza per paralizzare la maggioranza e un giorno imporre la sua volontà totalitaria. Infine, la tecnica elettorale e la questione della «legge truffa». Qui Salvemini è un po’ contradditorio. All’inizio, sostiene: «criticai aspramente i minori per aver accettato un premio (di maggioranza) eccessivo». Un conto era un premio di 50 voti, che avrebbe «sempre reso il governo dipendente dai (partiti) minori», altro un premio di 80 voti con il quale la Dc «avrebbe potuto mettere alla porta i minori il giorno dopo le elezioni». Quando invece - prosegue Salvemini - il premio passò in Parlamento, scelsi «il male minore», perché avrebbe potuto avvantaggiare i «totalitari». Anche se capii che la Dc ne avrebbe infine abusato, e «riconobbi di aver errato»... Come che sia, continua Salvemini, «per fortuna» alle elezioni il premio non passò, e però la Camera rimane instabile e aperta alla scorrerie di chi spera di «arrivare al regime totalitario».
Insomma un bel duello, dove sotto i colpi del «provocatore» Tamburrano, il grande Salvemini mostra a tratti la corda. Pur restando ammirevole nel voler preservare l’equilibrio tra giustizia sociale e garanzie di libertà, tra espansione dei diritti ed efficienza di governo, nell’alternanza.
In realtà quel Pci, non era affatto una minaccia per la democrazia italiana, di cui altresì era stato «cofondatore». Benché fosse molto lontano dall’aver rimosso le sue ambiguità filosovietiche, e anche distante dall’aver teorizzato compiutamente «la via parlamentare e nazionale al socialismo nel pluralismo» (come avvenne solo a fine 1956, dopo l’appoggio ai «carri»). Ed erano i tempi in cui la polizia sparava sugli operai, la Fiat cacciava e schedava i sindacalisti, e Montanelli consigliava all’ambasciatrice Claire Bothe Luce di caldeggiare bastone e messa fuori legge, contro Pci e socialisti... Nondimeno Salvemini molti problemi li poneva: come si governa questo paese? Come si costituzionalizza l’opposizione? Come si diventa un paese normale senza manicheismi, senza clericalismi, senza massimalismi emergenziali, a destra e a sinistra? E c’è da notare un’altra cosa. Il grande storico intuiva che quel Pci poteva evolvere. Poteva abilitarsi prima o poi a mutarsi in forza di governo socialista e di sinistra (cominciò Nenni). E divenire alfine quel che in parte già era. Morì molto prima che questo avvenisse. E il modo in cui accadde, da laico e socialista qual era, non è detto che gli sarebbe piaciuto...
Repubblica 12.1.08
Alla Sapienza fronte anti-Ratzinger "Nemico di Galileo, qui non può parlare"
Dopo l´appello dei fisici gli studenti preparano la contestazione
di Anna Maria Liguori
Giovedì il Papa terrà un discorso all´inaugurazione dell´anno accademico
Annunciati sit-in. Il rettore: al di là delle opinioni, viene tra noi come messagero di pace
ROMA - «Benedetto XVI non deve entrare all´Università La Sapienza». Il vade retro viene da un nutrito gruppo di docenti e studenti dell´ateneo più antico d´Europa e apre un nuovo fronte laici-cattolici. Il rischio è che giovedì prossimo, quando è in programma un discorso del Papa - terzo pontefice in visita all´ateneo - vada in scena una clamorosa contestazione, un sit-in antipapalino all´ombra delle Minerva. La parola d´ordine è: «Non vogliamo Ratzinger nel tempio della conoscenza perché è troppo reazionario».
L´alzata di scudi laica era stata preannunciata giovedì da una lettera ai vertici dell´università che hanno invitato, il 17 gennaio, papa Ratzinger ad inaugurare l´anno accademico 2007-08, il 705° dalla fondazione. Sessantasette docenti, tra cui tutti i più noti fisici dell´ateneo, hanno firmato un appello (pubblicato scorso su Repubblica) perché "quell´invito sconcertante", così lo hanno definito, venga revocato. Il messaggio anti Ratzinger è stato spedito direttamente al rettore Renato Guarini: «Il 15 marzo 1990, ancora cardinale, in un discorso a Parma, Joseph Ratzinger ha rilanciato un´intollerabile affermazione di Feyerabend: "Il processo della Chiesa contro Galileo fu ragionevole e giusto"». Una frase che ha fatto sobbalzare il gruppo di scienziati che ora fa la fronda alla visita di Benedetto XVI. E che si dicono «indignati in quanto scienziati fedeli alla ragione e in quanto docenti che dedicano la loro vita all´avanzamento e alla diffusione delle conoscenze. Quelle parole ci offendono e ci umiliano. E in nome della laicità della scienza auspichiamo che l´incongruo evento possa ancora essere annullato».
La risposta del rettore Guarini? Un invito alla tolleranza e nessuna marcia indietro. «Al di là delle divergenze di opinioni - dice - bisogna accogliere Benedetto XVI come un uomo di grande cultura e di profondo pensiero filosofico, come messaggero di pace e di quei valori etici che tutti condividiamo». Così la cerimonia è stata confermata, e sarà divisa in due parti: la lectio magistralis tenuta da Mario Caravale, docente di storia del diritto, che parlerà della pena di morte, poi gli interventi del ministro dell´Università Fabio Mussi e del sindaco di Roma Walter Veltroni. Poi il discorso di Benedetto XVI. Alla fine, tutti in cappella.
Ma la vigilia potrebbe diventare "pesante". Dopo i professori anche gli studenti promettono che non resteranno a guardare. Annunciano che faranno un sit-in contro «l´oscurantismo» di Benedetto XVI, terzo papa in visita alla Sapienza dopo Paolo VI nel 1964 e Giovanni Paolo II nel 1991. «Non capiamo per quale motivo il Papa debba prendere parte alla cerimonia» sottolinea Michele Iannuzzi della Rete per l´Autoformazione. E centinaia di studenti delle università romane già fanno sapere che nei prossimi giorni si daranno appuntamento sotto la statua della Minerva, simbolo del sapere e della conoscenza. Già mercoledì organizzeranno cortei, campagne di comunicazione e daranno vita a "gesti eclatanti" per coinvolgere il maggior numero di studenti in quella che vuole essere «una vera e propria lotta contro l´ingerenza del pontefice nelle istituzioni italiane».
Clima di mobilitazione anche tra i docenti. Andrea Frova, docente di Fisica generale, è tra coloro che hanno partecipato alla stesura della lettera: «L´invito è una scelta inopportuna e vergognosa e non è sufficiente che il Papa non tenga più la lectio magistralis, come avevano deciso all´inizio. È solo un maquillage fatto anche piuttosto male. Si tratta di un capo di stato straniero ed inoltre il capo della Chiesa cattolica. E noi che abbiamo dedicato tutta la vita alla scienza non ci sentiamo di ascoltare, a casa nostra, una voce autorevole che condanna di nuovo Galileo». Un altro dei firmatari più attivi è Carlo Cosmelli, docente di Fisica: «Le accuse anti-scienza che il Papa ha lanciato da cardinale le ha ribadite anche nella sua ultima enciclica. Lui è convinto che, quando la verità scientifica entra in contrasto con la verità rivelata, la prima deve fermarsi. Una cosa del genere in una comunità scientifica non può essere accettata».
Repubblica 12.1.08
Bersani: posizioni ancora molto distanti sullo statuto. Rutelli prepara un manifesto
Pd, oggi la conta su laicità e partito "fluido"
ROMA - È ancora aperta la battaglia nel Pd sullo Statuto. In vista del Commissione che si riunirà oggi a Roma, infatti, restano quattro i punti controversi. Insieme al nodo riguardante la «laicità» del partito. L´organismo presieduto da Salvatore Vassallo, che si riunirà a porte aperte, ha tempo ancora fino al 2 febbraio per mettere a punto un testo unitario. Superato lo scoglio del congresso, da convocare nell´ottobre del 2009, è stato lo stesso Vassallo - sostenuto dai veltroniani - a ricordare le questioni aperte. E che al momento scontano «posizioni non conciliabili». Si scontrano ancora i supporter del partito «liquido» contro quelli del partito «strutturato».
Il primo nodo riguarda allora i tempi entro cui consentire ai cittadini di registrarsi nell´albo dei sostenitori e quindi partecipare alle primarie. L´iscrizione, in sostanza, deve essere preventiva - come sostengono alcuni dei rappresentanti delle componenti interne come Migliavacca, Oliverio, Sanna e Brutti - o può avvenire anche la momento del voto? Poi si dovrà decidere sull´assemblea nazionale: composta solo dai membri eletti attraverso le primarie o anche attraverso le indicazioni dei parlamentari? Infine, la selezione dei candidati al parlamento. Ds, Popolari e area Letta propongono le primarie. Ma, precisa Vassallo, «attribuiscono l´elettorato attivo ai soli sostenitori già registrati nel relativo albo e limitano l´elettorato passivo ai soli candidati votati con maggioranza qualificata dei tre quinti dal coordinamento nazionale».
Nel frattempo è stata ufficializzata la cosiddetta "norma salva Prodi", quella secondo cui Veltroni può essere candidato a palazzo Chigi solo dalla prossima legislatura e che Prodi ricopre la carica di presidente del partito. Il confronto sullo statuto, quindi, agita non poco le acque del Pd. Anche in merito al tema della laicità del Pd. La commissione Valori ha preparato un testo in cui si afferma che «la laicità dello Stato e delle istituzioni è un valore essenziale», ma va riconosciuta «la rilevanza nella sfera pubblica, e non solo privata, delle religioni». Un´apertura che non piace alla bindiana Sabina Ratti-Profumo, moglie dell´Ad di Unicredito, che ha presentato un emendamento per cancellare questo riferimento. «Su tutto questo, - ha poi avvertito Pierluigi Bersani - non ci possono essere equivoci. Mi pare che emergano ancora idee molto differenti sulla natura del nuovo partito». E non è un caso che mercoledì scorso si siano incontrati i "rutelliani": i 13 big della componente annunciano il varo di un nuovo "manifesto dei coraggiosi" senza risparmiare critiche alla segreteria Pd.
Corriere della Sera 12.1.08
Il caso «L'obiettivo è evitare le liti». Ma l'assessore: rischiamo di tornare ai tempi di Rosa Louise Parks
«Scuolabus separati per bimbi rom»
In un quartiere romano il Prc fa asse con la Cdl: nessun imbarazzo
Il settimo municipio ha approvato la mozione presentata da Rifondazione con i voti di Sd e del Polo
di Paolo Brogi
Bimbi rom a scuola su uno scuolabus diverso da quello degli altri studenti.
È la richiesta contenuta in una mozione approvata dal consiglio di quartiere che sarà presentata all'assessore comunale all'Istruzione. Su richiesta dell'esponente di di Rifondazione comunista
ROMA — Apartheid su via Palmiro Togliatti? Ieri il consiglio del VII Municipio di Roma, uno dei caposaldi «rossi» della cintura a cavallo tra Prenestina e Casilina, ha approvato a maggioranza una mozione presentata da Rifondazione comunista (votata da Sinistra democratica, più tutto il centro destra, contrario il Pd) in cui si chiede all'assessore comunale alla scuola di valutare la richiesta di tornare a separare i bimbi rom dagli altri bimbi sugli scuolabus, richiesta avanzata da un gruppo di genitori mobilitati dopo un litigio avvenuto tra ragazzini.
Secca la replica dell'assessore Maria Coscia (Pd): «Sapevo che nel VII Municipio c'era stato qualche problema, ma pensavo che fosse stato governato. Nel senso di includere e non di escludere... Mica possiamo tornare ai tempi di Rosa Louise Parks...». Eppure da quel comprensorio di case popolari e di ex borgate che si chiamano Centocelle, Prenestino, Quarticciolo, Alessandrino o La Rustica, insomma la settima circoscrizione della città, rischia di spuntare all'alba del 2008 un po' grottescamente quell'autobus giallo del '55 a Montgomery. Epicentro è il 117 circolo didattico di Roma, alla Rustica.
Ad accendere la miccia nel parlamentino del VII retto da un presidente, Roberto Mastrantonio, unico rappresentante dei Comunisti Italiani tra i diciannove minisindaci di Roma, è stato Lucio Conte di Rifondazione Comunista. Più cautamente Mastrantonio si è tenuto alla larga dall'auletta al momento della votazione, comportamento adottato anche dalla consigliera verde Mariani. Presi in contropiede i rappresentanti del Pd, costretti poi in sei, i presenti al momento della votazione, a restare in minoranza. Due i punti messi nero su bianco: col primo si chiede di valutare la richiesta avanzata dai genitori di rivedere il sistema attuale di trasporto, il secondo suggerisce invece di contribuire a un migliore sostegno scolastico dentro la scuola per i bimbi rom.
«Premesso che durante il trasporto il comportamento vivace di alcuni bambini rom nei confronti degli altri bambini ha determinato le proteste dei loro genitori — recita la mozione approvata — e che anche la presenza sul pullman di due accompagnatori non ha fatto rientrare le preoccupazioni dei genitori che hanno chiesto di far portare a scuola i loro figli su un pullman senza la presenza dei bambini rom, visto che i genitori hanno chiesto che questa situazione venga rimossa e si torni alla situazione degli anni precedenti in cui si raggiungeva la scuola su pullman diversi... il Consiglio del Municipio VII chiede al Presidente di sottoporre all'assessore comunale alla scuola nell'ambito della prevista valutazione dello stato del progetto di trasporto scolastico la richiesta dei genitori del 117 circolo...». Seguono poi le richieste di un maggior sostegno scolastico all'insegna dei «diritti universali riconosciuti a tutti i bambini».
«Mozione imbarazzante? E perché mai...— reagisce il consigliere del Prc —. I problemi vanno affrontati, i cittadini sentiti. Oltre a quel litigio tra bambini qua si è messo in moto qualcosa di più. Così sono andato dal presidente e con lui ho concordato questa mozione...». Il capogruppo del Pd Marinucci allarga le braccia. Dice: «Se è per questo ha avuto anche l'adesione dei due di Sinistra Democratica. E poi si è sentita la capogruppo di An che diceva: "Ma perché non l'abbiamo proposta noi?". Qua, se non stiamo attenti, torniamo alle carrozze in treno per soli negri...». Il presidente Mastrantonio obietta. «Io sono per il mantenimento del servizio, certo, ma se si determinano condizioni di ingovernabilità che facciamo?».
Corriere della Sera 12.1.08
Una scoperta Usa aggiorna la teoria di un progresso lento e graduale
Oltre Darwin: ecco la prova dell'evoluzione accelerata
Individuata una nuova «esplosione» della vita
di Telmo Piovani
L'evoluzione è un processo lento e graduale come pensava Darwin oppure è talvolta punteggiata da accelerazioni improvvise come hanno ipotizzato Stephen J. Gould e Niles Eldredge? Per quattro quinti della sua storia la vita sulla Terra è stata rappresentata da organismi composti da una sola cellula. È soltanto a partire da poco più di mezzo miliardo di anni fa che gli oceani cominciano a brulicare di esseri più complessi, i pluricellulari.
Un team di ricercatori della Virginia State University, grazie a innovative tecniche di indagine quantitativa applicate ai caratteri morfologici, ha pubblicato sulla rivista Science
alcune conclusioni che, se confermate, potrebbero cambiare la nostra immagine degli abitanti degli oceani primordiali. Bing Shen, Lin Dong, Shuhai Xiao e Michael Kowalewski ritengono che i fossili di Ediacara, i più antichi pluricellulari conosciuti, presentino fin dai loro esordi il massimo di diversità di piani corporei, cioè di strutture morfologiche generali. Il «morfospazio» di Ediacara sembra nascere insomma in modo «esplosivo».
Gli scienziati hanno evidenziato un andamento in tre fasi, con nomi che sembrano evocare quelli di una saga nordica ma che in realtà corrispondono ai luoghi di ritrovamento dei fossili più rappresentativi. Nella prima, l'età di Avalon, che va da 575 a 565 milioni di anni fa, compare già l'intero spettro delle forme di Ediacara: è l'epoca del tutto subito. Nella seconda formazione, White Sea, la ricchezza di specie aumenta ma solo a partire da quel morfospazio iniziale già completo: è l'epoca delle variazioni sul tema. Nella terza, Nama, la ricchezza tassonomica diminuisce e l'enigmatico esperimento di Ediacara sfuma: è l'epoca del declino.
Se la separazione fra diversità tassonomica delle specie e disparità morfologica dei piani corporei è valida, significa che nei mari di Ediacara l'insieme delle forme possibili raggiunse il suo picco all'inizio, non alla fine.
La scoperta è resa più significativa dal fatto che si tratta di uno schema simile a quello di una seconda, e ben più nota, esplosione di vita pluricellulare, avvenuta 33 milioni di anni dopo, agli inizi del Cambriano. Non solo, le due rapide diversificazioni non sembrano legate l'una all'altra da un rapporto antenato- discendente, come se la vita avesse sperimentato strategie indipendenti. Gli organismi del Cambriano hanno infatti piani anatomici con soluzioni adattative molto diverse.
Charles Darwin, preoccupato, aveva definito l'esplosione del Cambriano «un mistero». Quella esuberanza iniziale dei pluricellulari e l'assenza di evidenze di una fase di preparazione mettevano in discussione la sua idea di un'evoluzione necessariamente lenta e uniforme. Come per molti evoluzionisti successivi, l'unica via di uscita gli sembrò quella di imputare la mancanza di gradualità alle imperfezioni della documentazione. In effetti queste scoperte illuminano piccoli frammenti di una storia durata centinaia di milioni di anni, come brandelli di un libro. Tuttavia, oggi sappiamo che le brusche accelerazioni evolutive sono fenomeni reali, innescati da cambiamenti ecologici su larga scala o da modificazioni nei sistemi di regolazione genetica dello sviluppo. Inoltre, quando usiamo l'aggettivo «esplosivo» su scala geologica intendiamo 10 milioni di anni per le faune di Avalon e 22 milioni di anni per quelle del Cambriano: nulla a che vedere con ciò che un essere umano può intendere per «rapido ». Se corroborato, il messaggio delle strane forme viventi di Avalon incrinerà la convinzione che il passato sia un lungo preludio del presente. Nelle occasioni cruciali l'evoluzione non sembra procedere per vie maestre, ma esplorando le possibilità contingenti che si presentano. Il tempo profondo è dunque pieno di ipotesi alternative che hanno fallito per ragioni non sempre connesse a una loro inadeguatezza.
La storia naturale è un processo imprevedibile e corale, dove succedono più cose di quante non ne avessimo immaginate. Scandagliando l'oceano di tempo che ci separa dai pionieri della vita pluricellulare non troviamo una linea solitaria di progresso, ma un susseguirsi di ritmi differenti di cambiamento e, soprattutto, una pluralità di soluzioni alternative. Nelle vie ingegnose dell'evoluzione, a volte così lente da sembrare immobili, a volte così rapide da sembrare istantanee, i perdenti spesso non erano poi così cattivi. Tre fasi
L'evento, in tre momenti, cominciò 575 milioni di anni fa: gli oceani furono popolati da esseri pluricellulari
Corriere della Sera 12.1.08
Anteprima Scienza e etica nel suo nuovo libro: il ruolo dei «geni architetti», che attivano alcuni «esecutori» e ne inibiscono altri
Boncinelli: ecco quando nasce la vita
Un processo di selezione e tagli. Dopo 14 giorni le cellule cominciano a diversificarsi
di Sandro Modeo
Lo sviluppo
Le sequenze che legano la formazione dell'individuo dall'oggettività del percorso fisiologico e biochimico fino all'emersione soggettiva dell'identità e del linguaggio
Nel volume Le forme della vita (ultima edizione Einaudi 2006), Edoardo Boncinelli ricostruiva l'origine e l'evoluzione della vita sulla terra, dagli esseri monocellulari di quattro miliardi di anni fa all'uomo. Oltre alla teoria darwiniana nell'insieme, spiegava in modo esemplare il processo-chiave della selezione naturale e la sua conferma più spettacolare, la replicazione genetica.
Il nuovo lavoro dello scienziato ( L'etica della vita. Siamo uomini o embrioni?, Rizzoli, pagine 190, e 12) è una lineare prosecuzione di quel racconto. Descrivendo infatti per dettagli spesso emozionanti e spiazzanti le sequenze che legano il formarsi dell'individuo dall'oggettività del percorso fisiologico e biochimico innescato dai gameti (la cellula-uovo e lo spermatozoo) fino all'emersione soggettiva del Sé e del linguaggio nel bambino, Boncinelli dimostra come ogni passaggio obbedisca in larga misura proprio alla selezione naturale e all'attivazione dei geni. L'elemento di profonda continuità — in questo viaggio dalla «terza» alla «prima» persona — è l'idea controintuitiva che il progressivo plasmarsi (la vera e propria «scultura») di un uomo o di una donna dipendano da un processo incessante e simultaneo di costruzione e distruzione (o, in certi frangenti, di eliminazione). Il che vale sia all'interno del ventre materno (nelle varie fasi dell'embrione e del feto) sia all'esterno, nelle fasi di apprendimento dopo la nascita.
All'interno del ventre materno, la cellula fecondata si articola in embrione proprio grazie all'attivarsi dei geni (ciascuno pronto a «rispondere » a situazioni contestuali specifiche, così come ogni anticorpo col «proprio» virus) e al loro funzionamento gerarchico. I geni «architetti », infatti (simili a quelli che Boncinelli ha studiato nel moscerino della frutta, responsabili della diversificazione tra testa, ala e addome) attivano certi geni «esecutori» e ne inibiscono altri, secondo un sincronismo di spazi e tempi attento a ogni dettaglio. Le cellule cominciano così a dividersi e moltiplicarsi (prima due, poi quattro, poi le otto della «morula », simile appunto a una mora), quindi a diversificarsi e specializzarsi (cellule del cuore, del cervello, della pelle), soprattutto a partire dalla «gastrulazione», cioè dopo il 14˚giorno, quando i vincoli biologici si concentrano su un solo embrione (eliminando la possibilità di uno sviluppo gemellare) e ne orientano la triplice simmetria (davanti/dietro, sopra/ sotto, destra/sinistra). Che la scultura proceda anche «per via di levare» lo si vede nell'esempio delle piccole mani: a un certo punto (a differenza che nei palmipedi, come le oche), nell'embrione umano le cellule della membrana palmare ricevono l'ordine di suicidarsi per «apoptòsi» (che in greco significa «caduta delle foglie») cesellando così la forma delle dita. È un esempio, per inciso, che evidenzia bene anche l'operare dell'evoluzione e della selezione.
Dopo aver descritto lo scremarsi progressivo di tutti gli elementi anatomici dell'embrione e del feto, con ulteriori saldature sia rispetto all'evoluzione (gli archi faringei come derivazione del sistema branchiale dei pesci), sia rispetto alla genetica (il gene regolatore OTX2 che incide sia sullo sviluppo della testa che nell'abbozzo cardiaco), Boncinelli si concentra sull'impatto dell'ambiente sul neonato e sul bambino, ovvero sul punto in cui la biologia vira in biografia. Anche qui sono molti i passaggi sorprendenti, come quello sul riconoscimento del viso della madre attraverso una messa a fuoco che passa per il «contorno » e l'attaccatura dei capelli. Ma su tutti (tornando di nuovo allo schema costruzione-eliminazione) impressiona l'acquisizione del linguaggio, perché il bambino procede per i primi 5 mesi a un ascolto indifferenziato del «flusso ininterrotto» di suoni circostanti (potenzialmente ricettivo, quindi, di qualsiasi idioma della terra) e poi discrimina, in rapporto al contesto e in particolare alla modulazione vocale della madre, precise aree fonetiche, scartando tutte le altre. L'approdo finale è una specifica «competenza prosodica» che gli permette di passare dalla lallazione («da da da, ba ba ba») alle prime unità semantiche e sintattiche.
Solo dopo averci accompagnato in questo viaggio — cioè dopo averci dato tutti gli elementi per ragionare senza filtri ideologici o emotivi — Boncinelli affronta da par suo i principali snodi di bioetica. Da un lato, con cautela e misura, prende posizione su tutto: tra le quattro opzioni sul «momento» che sancirebbe l'inizio di un individuo (il concepimento, la «gastrulazione», l'elettroencefalogramma attivo alla 23a settimana, la nascita), mostra per esempio di propendere per la seconda, peraltro sottoscritta dall'autorevole Commissione Warnock. Di conseguenza, non vede obiezioni né alla diagnosi pre-impianto né alla ricerca su cellule staminali embrionali (quali gli otto blastomeri della morula), cogliendo oltretutto una forte contraddizione negli oppositori, dato che l'efficacia terapeutica di tali cellule (nel rigenerare il pancreas di un diabetico, il fegato di un malato di cirrosi, il cuore di un infartuato, il sistema nervoso di un soggetto colpito da sindrome degenerativa) dipende dal loro carattere a-specifico, costitutivo di un «progetto» di embrione, non di un embrione.
Dall'altro lato, cerca di comprendere le ragioni degli oppositori stessi, esaminando le prospettive al di sopra di ogni possibile riserva etico-religiosa (come le staminali adulte, le totipotenti del liquido amniotico, l'impiego di un solo blastomero lasciando gli altri sette allo sviluppo), e sottoponendole, beninteso, allo stesso vaglio di quelle più discutibili e discusse.
Alieno anni-luce da ogni radicalismo (e dal diffuso anticlericalismo vuotamente sarcastico), Boncinelli sembra avere dei sussulti di insofferenza solo su certi pregiudizi, a cominciare da quelli sulla prosaicità del riduzionismo e sull'arroganza della scienza. Sono proprio libri come i suoi, del resto — e quest'ultimo in particolare — a mostrare quanto quei pregiudizi penalizzino soprattutto chi li nutre.
Corriere della Sera 12.1.08
Medioevo. Prosperi racconta le «confraternite di carità»
Condannati alla forca ma salvi nell'anima: storia delle Misericordie
di Cesare Segre
Alcuni manuali istruivano sul modo in cui comportarsi con i condannati: mescolavano insegnamenti dottrinali e suggerimenti psicologici
Sino a non molto tempo fa, l'impiccagione era considerata uno spettacolo, così come il rogo o la decapitazione. Avveniva, a un orario prefissato, in una piazza centrale, e il pubblico era indifferente alle sofferenze dei giustiziati; di solito anzi sottolineava rumorosamente il suo consenso, anche se ci furono pochi casi in cui parteggiò per i morituri. La scena iniziale di questa cerimonia s'è vista infinite volte nelle pitture o nei film: il condannato giunge in corteo, accompagnato dalle autorità religiose e civili, e affiancato da un frate che lo conforta o lo intontisce biascicando preghiere. Avvenuta l'esecuzione, il suo cadavere viene ancora vilipeso, esposto al pubblico ludibrio, o anche fatto a pezzi da un perito settore (ancora nel Settecento, Goethe assisté a una realizzazione di questo scempio). Si continuò in questo modo per secoli (e ancora si continua, in qualche parte del mondo). Ma vi furono anche mutamenti della procedura, segno di tempi un po' più umani. Uno di questi mutamenti è l'istituzione, nell'Italia del tardo Medioevo, delle «Misericordie», confraternite che tra le opere di carità curarono in particolare la preparazione e l'assistenza ai condannati. Questi volontari, laici, s'impegnarono a lenire le sofferenze di chi era sottoposto a giudizio, e ad assicurarne la sepoltura in terra consacrata: un impegno importante, dato che in precedenza il cadavere straziato veniva disperso o sepolto come quello d'un animale; ciò che costituiva, nella psicologia del tempo, un raddoppiamento della pena.
Su queste confraternite è ora uscito un massiccio volume, documento di un seminario di studio tenuto alla Scuola Normale di Pisa ( Misericordie. Conversioni sotto il patibolo tra Medioevo ed età moderna,
a cura e con introduzione di Adriano Prosperi). Come succede spesso nei lavori di Prosperi, il tema viene affrontato pure nei suoi aspetti dottrinali; e i molti collaboratori del volume, colleghi del curatore ma anche ricercatori e studenti, illuminano connessioni del tema con la storia religiosa, letteraria e artistica. Connessioni, in particolare, con la storia della letteratura e dell'arte, dato che in alcuni punti della procedura «laude» religiose vengono intonate o recitate, e a volte composte dai condannati stessi; e dato che tavolette dipinte (molte sono conservate), rappresentanti scene bibliche, o comunque sacre, venivano tenute davanti al volto del giustiziando e cercavano di concentrarlo su pensieri edificanti e distrarlo dal contesto dell'esecuzione in corso.
Sul piano dottrinale, è messo in rilievo il ricorso, funzionalizzato, alla distinzione tra corpo e anima, che permette di «giustificare» l'attuazione della pena anche dopo il pentimento o la conversione del condannato: il suo corpo paga i peccati di comportamento, mentre l'anima, purificata, può anche aspirare alla vita eterna. Sembra una sottigliezza ipocrita, eppure per secoli si era negato ai condannati, anche se confessi e pentiti, l'accesso alla comunione, così da condannarli automaticamente, perché perduranti in peccato mortale, all'inferno; invano il papa Celestino I, e altri dopo di lui, perorarono il loro diritto. Certo, questa dicotomia poteva avere talora aspetti quasi grotteschi, come nei casi in cui un condannato dava tali prove di pentimento e di spiritualità, da essere accompagnato al patibolo con la nomea di santo e il plauso della folla piangente. La distinzione tra corpo sottoposto a giudizio e anima liberata dalle sue colpe evidenzia la dialettica tra giustizia e misericordia, tra potere civile e autorità religiosa: quando, come spesso accadeva, il condannato riconosceva le sue colpe, la giustizia umana veniva legittimata da Dio per la bocca stessa del colpevole.
Naturalmente il libro illustra i procedimenti di persuasione e autoconvinzione mediante i quali il processo finiva per ottenere dal condannato l'accettazione della pena e il pentimento per il peccato, talora nemmeno commesso. E viene da pensare che, in tempi recenti, le vittime dei regimi comunisti riconoscevano anch'esse colpe che non avevano. Discutere sulla distinzione o l'identificazione di crimine e di peccato, di offesa alla società e di violazione dei comandamenti divini ci porta entro meandri mentali analoghi. Del resto, nei processi si cercava di conciliare la condanna capitale, decretata dal diritto romano e germanico, con il divieto di uccidere proclamato nella Bibbia (quinto comandamento).
Il volume di Prosperi contiene (pp. 323-479) due testi chiave, cui gli altri interventi si riferiscono di continuo. Il primo è il rendiconto sugli ultimi giorni di Pietro Paolo Boscoli, condannato a morte nel 1513 per aver congiurato contro i Medici di Firenze; il Boscoli, irreligioso e sostenitore del tirannicidio, giunge, con l'aiuto dell'amico Luca Della Robbia, alla confessione e al pentimento. Il secondo è un manuale quattrocentesco ad uso di una «Misericordia », nel quale s'istruiscono i confratelli sul modo in cui devono comportarsi con i condannati. Le istruzioni mescolano insegnamenti dottrinali e suggerimenti psicologici, onde ottenere la convinzione o, nel caso, sviare l'attenzione del condannato da ciò che potrebbe irritarlo o spaventarlo, sicché tutto il cerimoniale possa svolgersi senza intoppi. C'è un cinismo di fondo; ma è il cinismo di qualunque società sia pronta a sacrificare i singoli individui al desiderio di ordine.
il Riformista 12.1.08
Veltroni si sente la maggioranza in tasca
di Tommaso Labate
«Ho la maggioranza del partito». Sentendo l’eco del dibattito della commissione Statuto del Pd che avrà luogo stamattina, è altamente probabile che Walter Veltroni abbia gli elementi sufficienti per capire se l’idea che si è fatto nelle ultime quarantott’ore corrisponde al vero o è soltanto wishful thinking. Da due giorni a questa parte, cioè da quando sui giornali ha ripreso corpo il tema delle «correnti», il sindaco e i suoi stanno tentando il più possibile di allargare la base del consenso. L’obiettivo è scongiurare l’approvazione dell’emendamento allo Statuto firmato da dalemiani e mariniani, quello che prevede la registrazione «almeno una settimana prima» dei “sostenitori” che costituiranno - a tutti gli effetti - la platea dell’elettorato attivo del Pd. La regola d’ingaggio impartita dalla scuderia del Campidoglio è chiara: «È un tesseramento mascherato. Su questo dobbiamo combattere con la stessa forza che abbiamo opposto alla riforma elettorale tedesca».
Vista la delicatezza del punto in questione, i veltroniani si sono divisi in squadre secondo la vecchia regola del poliziotto cattivo e di quello buono. Goffredo Bettini sta tenendo i contatti con il fronte opposto (Nicola Latorre è l’interlocutore principale) e, insieme a un gruppetto di cui fa parte anche l’ex sindaco di Bologna Walter Vitali, insiste: «Vedrete che una mediazione riusciremo a trovarla». Il costituzionalista Salvatore Vassallo, in un impeto di realismo, ammette: «Su questo punto non sono possibili mediazioni. O è bianco o e nero. Per cui immagino che si andrà al voto nella riunione finale della Commissione, quella del 2 febbraio. Poi è logico che chi perde vorrà trascinare il dibattito all’assemblea costituente». Enrico Morando completa il discorso: «Ci sono compagni e amici che portano avanti un’idea completamente diversa dalla nostra. Posso sbagliare, ma sono convinto che lo spirito del 14 ottobre sarà maggioritario».
Il perché dell’ottimismo dei veltroniani si nasconde nel piano che un autorevole fedelissimo del sindaco riassume in poche parole: «Nella vecchia corrente dei popolari, non sono pochi quelli che stanno seguendo Franceschini e Soro sulla via di Walter». In questo senso, stando ai termometri di Campidoglio e dintorni, «la precisazione della Santa Sede su Roma, che ha assolto Veltroni, potrebbe diventare un fattore decisivo». C’è di più: stando ai contatti con l’ex segretario dei Ds, tra i fedelissimi di Veltroni non manca chi giura che «d’ora in poi Walter potrà contare sulla attiva collaborazione di Fassino».
Esagerati o meno che siano i pronostici sulla conversione “veltroniana” dell’inviato Ue in Birmania, i dalemiani tengono il punto e proiettano i loro sforzi sulla tornata di primarie per i coordinatori cittadini del Pd, che avrà luogo tra qualche settimana («Non facciamo liste. Solo candidature individuali», è l’imperativo diramato da Veltroni ai suoi). Parlando ieri a Napoli all’«Assemblea dei riformisti del Pd» (primo step del network nazionale dalemiano, che partirà dopo la definizione dello Statuto e sarà guidato da Pier Luigi Bersani), Latorre ha sottolineato: «Il problema non è solo votare ma anche discutere. Sarà un termine obsoleto ma ci vuole un congresso. E poi, il tema di come si organizza il pluralismo è centrale». Il vicepresidente dei senatori piddini, prima che la riunione di oggi abbia inizio, rimarcherà in un’intervista quello che Bersani ha sottolineato ieri. «Mi sembra di capire - sono state le parole del ministro dello Sviluppo economico - che siamo a un passaggio molto delicato. Anche se spero di sbagliarmi, mi pare che emergano ancora idee molto differenti sulla natura del nuovo partito. Ognuno può comprendere che quello sulle regole è un tema dirimente su cui non possiamo permetterci equivoci». Equivoci non ce ne saranno. Come non ci saranno vittorie per ko. Ma la vittoria ai punti non è mai stata così ambita.
il Riformista 12.1.08
Sui valori del Pd pesa l'effetto Al Gore
L'immagine da caricatura di una scienza amorale e fuori controllo
di Anna Meldolesi
Era inevitabile che il nodo della laicità dominasse il dibattito sulla Carta dei valori del Pd. Anche oggi, quando la commissione si riunirà per discutere la nuova bozza, l'attenzione sarà puntata sull'uso della parola famiglia (meglio al plurale) o sul riferimento alle discriminazioni basate sull'orientamento sessuale (che va mantenuto). Ma il testo elaborato da Alfredo Reichlin e Mauro Ceruti è lungo e complesso - una specie di enciclica, ha ironizzato qualcuno - e sarebbe un peccato se il confronto si esaurisse qui. Ci sono altre questioni, anch'esse controverse e rilevanti per definire l'identità di un partito moderno, che non possono essere date per scontate. A partire dal rapporto tra scienza e ambientalismo.
È davvero necessario forzare i toni, ricalcando i cliché del catastrofismo ecologista, per affermare l'importanza delle politiche a tutela dell'ambiente? Gli estensori della Carta, evidentemente, ritengono di sì. Sarà colpa di certe vulgate giornalistiche, sarà l'effetto Al Gore, o forse un trucco retorico per enfatizzare la valenza salvifica del nuovo soggetto politico. Fatto sta che il paragrafo sullo stato di salute del pianeta fa impallidire i comunicati di Greenpeace. «Le questioni ambientali - si legge - impongono misure urgenti e cambiamenti profondi al modo di vivere, ma esigono prima di tutto la consapevolezza che l'attuale modello di sviluppo si è pericolosamente avvicinato a una soglia, oltre la quale verrebbe messa in questione la stessa esistenza dell'umanità. Si è aperto un dibattito di portata analoga a quello che impegnò le autorità politiche, morali e scientifiche del mondo intero quando si inaugurò l'era atomica». E ancora: «Il tempo si è fatto breve ed è già sotto i nostri occhi lo sconvolgimento di tutti gli equilibri ecologici, dal clima alle risorse energetiche, dall'acqua potabile alle fonti di alimentazione». Sarebbe stato più onesto dire che il riscaldamento globale è un problema che va affrontato con determinazione anche se i suoi effetti negativi si faranno sentire tra decenni; che le risorse idriche scarseggiano in alcune aree geografiche, ma invece di ridurre le docce come Fulco Pratesi potremmo aggiustare la rete idrica che perde gran parte dell'acqua per strada; che è necessario trovare soluzioni (anche tecnologiche) per contenere i prezzi dei generi alimentari e alleggerire l'impatto ambientale dell'agricoltura, visto che per qualche decennio la popolazione mondiale continuerà a crescere e l'alimentazione dei paesi in via di sviluppo si sta (finalmente) diversificando. Invece compaiono espressioni come «saccheggio delle risorse naturali» che sembrano uscite da un pamphlet di Vandana Shiva. E ci viene detto che «il Pd è consapevole che siamo arrivati al limite di uno sviluppo meramente quantitativo», come se dalla rivoluzione industriale in poi non fosse migliorata anche la qualità della vita.
Il problema è che questo paragrafo, per quanto delimitato, fa sorgere qualche dubbio sul reale significato di tutto il resto. Il primo passo per riconoscere la centralità della scienza, infatti, è non distorcere le conoscenze scientifiche nel momento in cui si elaborano delle analisi politiche. Se si fosse seguita questa strada, sarebbe stato più facile credere che il Pd è davvero consapevole del fatto che «il ritardo grave che l'Italia registra nel campo della conoscenza è l'ipoteca più grave che pesa sul nostro futuro». Fa ben sperare, comunque, la scelta dell'avverbio «fermamente» quando la Carta parla del sostegno alla libertà di ricerca scientifica. E suona bene anche che «per arrivare a risultati creativi e condivisi, la scienza non può che battere strade diverse e parallele» (il riferimento è alla contrapposizione tra staminali adulte ed embrionali?). Poi fatalmente arrivano i ragionamenti sugli «inediti interrogativi di natura etica relativi all'impatto ambientale delle innovazioni tecnologiche». Reichilin e Ceruti non citano il principio di precauzione (evviva), ma ci ricordano che «non tutto ciò che è realizzabile tecnicamente è eticamente accettabile né è sempre utile». Claudia Mancina, commentando la prima bozza sul Riformista , ha già criticato questa espressione di rito. Sarebbe stato bello se i democratici ci avessero stupito, andando oltre l'immagine caricaturale di una scienza amorale e priva di meccanismi di autocontrollo, ma non è accaduto. La Carta, quindi, sostiene la necessità di «intrecciare il valore della libertà della ricerca con il valore della responsabilità individuale e collettiva, che si trova ad affrontare, oltre alle questioni di ordine propriamente conoscitivo, anche questioni etiche, sociali, culturali». E suggerisce che questa conciliazione sia possibile ricorrendo «a un'ampia discussione sulle implicazioni future, i costi e le priorità delle ricerche scientifiche e tecnologiche, che coinvolga non solo gli esperti ma tutti i cittadini, secondo i criteri di pubblicità e trasparenza della democrazia cognitiva». Il che è un bene, perché nessuno intende invocare una tecnocrazia dei camici bianchi. Resta solo un dubbio: cosa si intende esattamente con il termine democrazia cognitiva? Gilberto Corbellini scrive su Darwin che per essere valido questo strumento dovrebbe essere assunto «nell'accezione tradizionale del pensiero liberal-democratico, cioè come formazione e istruzione continua dei cittadini per migliorare la razionalità delle scelte» altrimenti si rischia di scivolare verso lo stato etico. Noi più semplicemente ci limitiamo a notare che una rigorosa opera di informazione è il presupposto basilare per qualsiasi iniziativa di public engagement. Altrimenti si finisce per consegnare la scienza a una sorta di sondaggismo demagogico come quello dell'ormai dimissionato Mario Capanna. Vogliamo sperare davvero che i democratici abbiano ben chiara la differenza.
il Riformista lettere 12.1.08
la santa sede, il degrado della capitale e il verbo «strumentalizzare»
Caro direttore, tratto testualmente dal "Dizionario della lingua italiana" di Devoto e Oli. Strumentalizzare: 1) trascrivere per l'esecuzione strumentale brani musicali composti per sola voce; 2) fig. sfruttare a scopi ben determinati e particolari: s. un'amicizia; s. qualcuno, servirsene per scopi diversi da quelli che egli si presuppone [der. di "strumentale"]. Ieri la Santa Sede ha diramato una nota per dire che le parole del papa su Roma sono state strumentalizzate. Tenderei a escludere che Oltretevere abbiano voluto denunciare che qualcuno ha trascritto per l'esecuzione strumentale le parole di Benedetto XVI, composte per sola voce. Di conseguenza, vuol dire che qualcuno ha sfruttato a scopi ben determinati e particolari le parole del Pontefice. Oppure, qualcuno ha deciso di servirsene per scopi diversi da quelli che Ratzinger si presupponeva. E allora? C'è stato per caso un cambio di giudizio del Papa su Roma? Tutt'altro, per la Santa sede il degrado resta «gravissimo». Forse però la colpa non è di chi la governa, non è di Veltroni, "vittima" della strumentalizzazione. Se è così, invece che continuare nell'inutile esercizio del voto alle amministrative, perché - se vogliamo che la città non sia più preda del degrado - non ci raccogliamo tutti in preghiera?
Francesco De Paoli e-mail
il papa e Roma
Caro direttore, questi politici in ginocchio dal papa vanno a chiedere la benedizione come figli al padre per intercettare i voti cattolici. E il padre li bacchetta. Viene da dire: «Ben gli sta». Il problema non è il pontefice che fa il suo mestiere, ma i politici privi di schiena diritta. Se la reprimenda è del padre è uno "stimolo", se viene, per gli stessi problemi, dal centro destra è "politica di modesto livello". Non una parola da Veltroni sul Vaticano, padrone del 25 per cento del patrimonio immobiliare di Roma, che sta sfrattando dai propri palazzi, per affittarli ai ricchi, gli inquilini più poveri, scaricandoli al comune. Sempre più lontano il principio risorgimentale: "Libera Chiesa in libero Stato". Il pensiero va a Cavour e al grande sindaco laico di Roma Ernesto Nathan.
Ezio Pelino e-mail
Liberazione 11.1.08
La Chiesa (e non solo) equipara l'interruzione di gravidanza all'omicidio ma è soltanto una guerra moderna per mortificare la soggettività femminile
Moratoria aborto? Un attacco alla famiglia
di Enzo Mazzi, ex parroco dell'Isolotto di Firenze che oggi guida una comunità cattolica di base
«Le pubbliche amministrazioni non devono assecondare gli attacchi contro la famiglia fondata sul matrimonio»: è quanto ha detto ieri mattina Benedetto XVI nel discorso pronunciato in occasione dell'udienza concessa agli amministratori del comune di Roma, della Provincia e della Regione Lazio.
La credibilità delle parole dette si misura sempre sulla coerenza dei fatti. Il papa invita a non assecondare gli attacchi contro la famiglia mentre a sua volta non teme di assecondare e benedire l'orrida pratica repressiva verso la donna implicita nell'accostamento fra pena di morte e aborto.
Annullare la soggettività femminile, negarle fiducia nel momento più alto della propria identità e del proprio ruolo, deprimere il suo senso di responsabilità, considerare nemica della vita la madre costretta ad affrontare il dramma dell'aborto, non è forse un attacco frontale anche alla famiglia? E' distruttiva nei confronti della donna ma anche dei legami familiari la proposta di "moratoria" dell'aborto.
Si vede lontano un miglio che è una trovata furbesca, strumentale e provocatoria, distruttiva verso tutti i legami sociali. Non tende a favorire il dialogo ma a generare scontro. Impedisce qualsiasi confronto costruttivo sul tema dell'aborto, sui percorsi per ridurlo ulteriormente e sulle tecniche che lo rendano più rispettoso dell'integrità fisica e psichica della donna.
Chi ha un minimo di senso critico e anche chi ha una sensibilità educata dal Vangelo come può dialogare con chi bombarda quotidianamente le coscienze delle donne con messaggi terroristici, da tutte le tribune e usando tutti i mezzi fino ad accostare l'aborto alla pena capitale?
Come è possibile considerare interlocutore credibile e affidabile chi esaspera la drammaticità del mistero della procreazione e considera l'aborto peggio della guerra, degli stermini nazisti, delle stragi più sanguinarie, chi espone lapidi ai "bambini non nati" vittime dello sterminio abortista, chi s'intromette nel rapporto simbiotico gestante-embrione, separando il feto dal corpo della madre, contrapponendo due vite in totale simbiosi fino a farle divenire nemiche fra loro, portatrici di interessi personali e vitali opposti, chi obbliga i medici cattolici, gli infermieri e perfino i portantini, a fare obiezione di coscienza contro l'orrendo crimine, e non è solo un'obbligazione morale perché l'obiezione di coscienza è imposta con tutto il peso ricattatorio che ha il potere cattolico, chi demonizza infine tutti i metodi contraccettivi "innaturali" impedendo perfino che se ne parli nelle scuole e invitando i farmacisti a obiettare?
Come il Sabba fu lo strumento inquisitorio della caccia alle streghe così oggi si usa l'aborto per accendere nuovamente i roghi delle donne. Un passo avanti si è fatto: è sparito il rogo fisico. Ci si contenta di riproporre la condanna penale dell'aborto. Ma il risultato culturale e politico è sempre lo stesso: l'annullamento della soggettività femminile come soluzione finale per il dominio moderno sulla natura.
Le persecuzioni delle streghe non furono un fenomeno medievale. Il culmine dei pogrom è tra il 1560 e il 1630, quindi all'inizio dell'epoca moderna. Gli ultimi processi contro le streghe ebbero luogo nel 1775 in Germania, nel 1782 in Svizzera e nel 1793 in Polonia.
Le "streghe" vennero lacerate tra la Chiesa, che voleva tener salda la "fede ormai impallidita" come bastione di resistenza, e la "ragione che stava fiorendo" e che portava al dominio sulla natura. La fede impallidita e la ragione fiorente, in feroce competizione per l'egemonia sul mondo nuovo che stava nascendo, si allearono per togliersi di mezzo la donna, radicale ostacolo alla cultura del dominio. I medici, ad esempio, contribuirono sistematicamente con la loro consulenza specifica al controllo del grado di tollerabilità delle torture delle streghe. Lo fecero per danaro ma anche per strategia politica e di potere.
Il nuovo soggetto "illuminato" doveva costituirsi in opposizione alla natura interiore ed esteriore e non in sintonia con esse. L'immagine magica del mondo, che aveva potuto resistere nei secoli nonostante la cristianizzazione, venne eliminata all'irruzione del periodo manifatturiero, con il trionfo della scienza moderna sulla teologia.
Suo becchino fu però la chiesa, cosa che comportò l'assassinio delle donne, nel senso più vero dell'espressione. La cifra di un milione di roghi non è esagerata. Sia l'umanità medioevale che impallidiva e resisteva sia la "nuova" umanità dell'epoca industrializzata era maschile.
Scrive queste cose, ed è sintomatico, la teologa tedesca Hedwin Meyer Wilmes docente di teologia femminista all'università cattolica di Nimega (Olanda), sulla rivista teologica internazionale Concilium 1/98.
La competizione storica delineata sopra per l'egemonia sulla modernità prosegue oggi. Le modalità sono diverse, ma resta una competizione fra culture maschili che si alleano per togliersi di mezzo l'ostacolo comune e cioè la soggettività femminile.
Mi domando sempre come è possibile che un mondo cattolico centrato sul Vangelo possa ridursi a questo. Trovo una risposta nella mia esperienza di vita. Immaginate un giovane immaturo poco più che ventenne, vissuto ed educato nell'ambiente asettico del seminario, lontano dai problemi della vita, infilato improvvisamente in un confessionale, che si trova a decidere se assolvere o condannare una donna che gli confessa di voler abortire senza recedere o di averlo già fatto senza vero pentimento.
Se assolve la donna condanna se stesso perché gli hanno insegnato che non ci può essere pietà per il peccatore impenitente. Se nega l'assoluzione condanna ugualmente se stesso perché viene a trovarsi in contrasto col Gesù del Vangelo: "chi è senza peccato scagli la prima pietra, nessuno ti ha condannata, nemmeno io ti condanno". Quel prete o viene indotto a intraprendere un cammino di liberazione rispetto al lavaggio del cervello che ha ricevuto in seminario e rispetto alla omologazione teologica e pastorale o si chiude in un intristimento senza speranza che egli tenterà di razionalizzare scaricando il suo senso di colpa e la sua angoscia su chi ritiene, per lo più inconsciamente, la causa delle sue sofferenze, e in primo luogo la donna. Da qui la misoginia del clero ed anche la pedofilia. Mi spiego così, per diretta esperienza e non per sentito dire né per prevenzione ideologica, questo insistere del mondo ecclesiastico sulla colpevolizzazione femminile e questa grave sfiducia verso la donna considerata inaffidabile.
Forse l'esperienza traumatica del pretino immaturo a contatto con i drammi della vita può ritrovarsi anche nelle esperienze dei giovani medici formati al principio della salvezza ad ogni costo della vita in senso astratto con scarsa o nessuna considerazione per la soggettività dei viventi e in particolare per la donna alle prese con la complessità dei problemi procreativi. Evito di addentrarmi. Lo potrebbe fare qualcuno interno alla professione medica. E' una richiesta e un invito. La vita è un valore troppo grande per essere ancora rinchiusa nella gabbia della cultura patriarcale. La liberazione della cultura femminile è essenziale oggi per un superamento delle vecchie prigioni delle anime e dei corpi.
Liberazione 11.1.08
Aborto. Siamo sicuri che la negazione assoluta non sia un crimine di pace?
di Paolo Tranchina, psicoterapeuta di Psichiatria Democratica dirige i "Fogli di informazione" insieme ad Agostino Pirella, basagliano anch’esso
Caro direttore, mi stupisce l'accanimento della Chiesa sull'aborto, sulla negazione delle coppie di fatto e in generale sui problemi sessuali. A cosa possiamo attribuirlo? Innanzitutto al prevalere della prescrittività rispetto alla libertà. Sembra che il compito essenziale della Chesa sia il negare, non fare questo, non fare quello, un eterno ritorno alle tavole della legge, ortunatamente, oggi, senza inquisizione. Prevale cioè il negare sul permettere, il dire di no, l'obbligare, il coercire, l'imporre. La cosa non sarebbe di per sé grave, se non fosse accompagnata da un invasamento, dalla negazione di ogni dialogo, come se si parlasse in nome di un assoluto che si pretende di rappresentare, e che è, invece, semplice autoattribuzione di poteri. Ma chi ha il diritto di parlare in nome di Dio se Dio è di tutti e tutto ha creato? E perché Dio dovrebbe essere più interessato al sesso e al suo controllo, piuttosto che alle nefande conseguenze dell'organizzazione del lavoro, con le sue morti quotidiane e l' inquinamento che minaccia il mondo? Legiferare sul sesso è legiferare sull'origine della vita, è rapportarsi alla natura imponendo dove accettarla e dove correggerla, insomma, porsi fuori dalla storia, dal sociale, dall'evoluzione umana dei costumi. Questa passione, però, ha qualcosa di eccessivo, di insano e non può che rendere dubbiosi. Questo accanirsi sul vietare ogni violenza su un bambino non nato forse allude a un'altra violenza, di cui la Chiesa è impregnata, e che vorrebbe rimuovere. Parlo della continua violenza sui bambini da parte dei preti pedofili. Parliamo di aborto allora per non parlare di pedofilia. Parliamo di violenza presunta per non parlare di violenza reale. Parliamo di sesso per non parlare di ingiustizia sociale. In fondo credo che la repressione sessuale, la pretesa del controllo assoluto sugli istinti sia solo un espediente par far sentire tutti in colpa, uno strumento di controllo gravido di perniciose conseguenze psicologiche e sociali. Ma davvero il Papa crede che l'Aids si combatta con l'astinenza e la fedeltà coniugale? Ecco ancora il gusto della negazione assoluta che ritorna, cieco a tutte le sofferenze, morti che può provocare, ma cieco, anche, di fronte a qualsiasi, banale, senso comune. Siamo sicuri che la negazione del preservativo, e dell'aborto non si configuri come un crimine di pace? Lo strumento per far prosperare cento, mille sistemi di cura, assistenza, profumatamente sovvenzionati, invece di evitarli con adeguati mezzi di prevenzione?
il manifesto 12.1.08
Cina: 100 mila morti sul lavoro all'anno
Cifre ufficiali, per certi versi incomprensbili, sicuramente «ritoccate» al ribasso. Pechino dichiara 100 mila morti in «incidenti» nel 2007, il 10% in meno rispetto al 2006. Ma il risultato positivo non è «consolidato»
Quanti cinesi muiono ogni anno sul lavoro? In un paese dove i lavoratori migranti irregolari sono centinaia di milioni il numero esatto forse è ignoto persino alle autorità che, comunque, ci aggiungono del loro per smussare le cifre. Secondo quelle diffuse ieri a Pechino, nel 2007 i morti in «incidenti» sul lavoro sono stati 101.480, il 10% in meno rispetto all'anno precedente. Negli «incidenti» l'amministrazione statale per la sicurezza sul lavoro include anche quelli avvenuti sulle strade e sui treni. Si tratta solo dei cosiddetti infortuni in itinere, che giustamente vanno conteggiati come infortuni sul lavoro? O sono stati messe nello stesso mazzo anche le vittime degli scontri stradali e ferroviari per oscurare la quota degli omicidi bianchi? Il sito del governo cinese non scioglie il dubbio, anzi lo rafforza: consultandolo, si scopre che nel conto degli «incidenti» sono finite anche le 2.325 vittime di disastri «naturali» (inondazioni, frane e persino fulmini).
Anche il numero degli «incidenti» (506 mila, -19% rispetto al 2006, secondo l'agenzia governativa) risulta incongruo. Prendendolo per buono, ne consegue che (in Cina) ci vogliono cinque «incidenti» per fare una vittima. Incredibile, visto che ogni «incidente» in una miniera di carbone fa almeno qualche decina di morti.
Fatte tutte queste tare alle cifre, l'essenziale è il messaggio politico che Pechino ha voluto lanciare. In sintesi suona così: «Abbiamo fatto notevoli progressi per la sicurezza nei luoghi di lavoro, ma i risultati non sono consolidati. 100 mila morti restano un prezzo terribilmente alto per lo sviluppo economico e costituiscono un enorme problema sociale. Vanno potenziate le campagne di educazione e di promozione della sicurezza e incrementati i controlli». A proposito delle miniere di carbone (che ogni anno fanno 5 mila vittime "ufficiali"), il governo cinese afferma che in cinque anni ne sono state chiuse 11.155 (tutte però di piccole dimensioni) e che sono stati spesi 11 miliardi di dollari per migliorare la condizioni di sicurezza degli impianti. Anche qui va fatta una chiosa: molte delle miniere chiuse sono tornate in produzione o clandestinamente o, dopo una blanda ripulita, alla luce del sole.
Nelle «informazioni» fornite ieri da Pechino spiccano almeno tre mascoscopiche lacune. 1)Bocche cucite sugli infortuni mortali in edilizia (sicuramente alle stelle in un paese in continua costruzione). 2)Silenzio sull'incidenza degli infortuni mortali, il raporto tra numero delle vittime e numero dei lavoratori. In Cina e in India nel 2004 (fonte Ilo) l'incidenza era di 10 morti per 100mila lavoratori. Doppia rispetto ai paesi occidentali, ma inferiore a quella registrata nei paesi dell'ex impero societico (12) e nell'Africa sub sahariana (20). 3)Neppure un cenno ai morti per malattie professionali (l'amianto, che Pechino non ha messo al bando, sicuramente sta presentando il conto anche ai cinesi). m.ca