Tra i primi 420 nomi politici, grand commis, uomini di Chiesa, dello spettacolo, dell’esercito
Devono andarsene
di Concita De Gregorio
La madre, la moglie, la figlia, la suocera. Il fratello della fidanzata, il cognato, la ragazza dell’amico del figlio, l’ex ragazza. L’amante, la segretaria, l’autista. Il figlio del giardiniere della casa di campagna. Il capo di gabinetto, il capo dell’ufficio legislativo, il capo del dipartimento, l’archivista, il dirigente Rai, il giornalista, il regista, il produttore, il generale. L’assistente del generale. Il ragioniere, suo genero l’attore. L’ex moglie. La sorella.
Il miglior falegname della città, come lo chiama Bertolaso, ha la mappa dettagliata delle parentele e delle relazioni fino al quinto grado, coppie di fatto e clandestine comprese, dei suoi clienti. Siccome è preciso la mole di lavoro, del resto, possente annota in un quadernetto. A volte col solo nome di battesimo. Altre volte col solo indirizzo. In casi di intimità estrema con l’iniziale, con un nomignolo affettuoso. Il miglior falegname della città è generoso: non segna cifre, niente importi, non un pagato o da pagare come succede, per dire, a chiunque di voi porti il cappotto in lavanderia. No, con le case ai Fori o a Cortina non funziona così. A volte dimentica persino di aver realizzato i lavori o di aver fatto dono di un appartamento. Nel mucchio può succedere. Poi capita anche che qualcuno pretenda di pagare, per i lavori ottenuti: una bizzarria, una forma di moralismo che va compresa e assecondata. Qualcuno certamente ha pagato. C’è chi ha persino conservato le
ricevute, gente d’altri tempi. Per il resto: tutto in un conto unico. In cambio di che cosa lo dirà la magistratura, voi intanto siete liberi di immaginare per quale motivo un falegname così prodigioso da esser divenuto il titolare delle ristrutturazioni per conto dei servizi segreti oltre che delle più costose e grandi opere pubbliche degli ultimi anni si adoperasse a riparare tapparelle a casa della suocera del funzionario del ministero, si figuri se disturba, ci mancherebbe.
La moglie di Guido Bertolaso lavorava per lui. Non è vero che l’abbia fatto solo prima che Anemone si aggiudicasse gli appalti, come ha detto suo marito in conferenza stampa. Il falegname con gli occhiali a specchio faceva lavoretti per Bertolaso in casa e in ufficio da molto, molto prima che la signora rimettesse a posto i giardini del Salaria Village. Una piccola menzogna, certo, nel monte di falsità e nella palude di corruttela che la cricca gelatinosa ha costruito e poi abitato per anni. Bisogna partire da quelle spudorate menzogne (omissioni? dimenticanze?) e tirare il filo. Basta, davvero. Devono andarsene, la cloaca di corruzione non può ingoiare il paese intero. Lo divoreranno. Non lasciamoglielo fare. Pretendiamo le dimissioni di chi ha corrotto e chi si è fatto corrompere, pazienza se strilleranno che è una congiura, una gogna, un complotto. Hanno sempre fatto così: colti in flagrante, messi di fronte all’evidenza dei fatti hanno protestato cose tipo: state violando la privacy. Loro invece stanno violando l’ultimo residuo di dignità. Anemone ha avuto anche i lavori di ricostruzione della scuola di San Giuliano, quella dove morirono 27 bambini e un insegnante. Di terremoto in terremoto hanno fatto miliardi e lasciato a noi le macerie. Non sono gli italiani senza lavoro né speranze a dover lasciare il paese. Sono loro che devono andarsene. Ricostruiremo da capo. Staremo meglio.
l’Unità 14.5.10
Sipario strappato per Silvio «Draquila» trionfa a Cannes
Sala gremita, applausi, risate e commenti alla proiezione per la stampa estera del film di Sabina Guzzanti sulla ricostruzione post-terremoto: «Berlusconi sembra Bush». E ancora: «Non vorremmo vivere in Italia...»
di Gabriella Gallozzi
Croisette Applausi e risate alla proiezione della stampa estera. «È un film rigoroso e scioccante»
All’attacco L’attrice e regista: «Quella di Berlusconi è eversione, un vero colpo di Stato»
Quando si dice un boomerang. Se il G8 dell'Aquila è stato per Berlusconi il suo «trionfo internazionale» è, ora, proprio la platea internazionale di Cannes a sdegnarsi per quel reality show, raccontato da Sabina Guzzanti nel suo film messo al bando dal governo. Ieri al Festival non si parlava d'altro. Alla proiezione di Draquila per la stampa straniera la sala era al completo, il pubblico ha partecipato ridacchiando nei momenti di satira più esplicita e, alla fine, sono partiti gli applausi. «Berlusconi sembra Bush», commenta un giornalista americano, «ed è molto interessante com'è raccontata l'intrusione della mafia. Lo stile è quello di Michael Moore, ma il risultato è ancora piu' forte». «In Francia c'era molta attesa per questo film – spiega una collega francese per via di tutto quello che abbiamo letto. E devo dirlo: Draquila è davvero rigoroso e scioccante». Anche perché, sottolinea un'altra «siamo paesi vicini, quello che accade oggi da voi può succedere anche da noi da un momento all'altro». Fuori dalla sala è tutto un groviglio di telecamere. Ed un incrocio di commenti: i francesi che cercano le dichiarazioni degli italiani e viceversa. «Sicuramente non passerà in tv – dice sarcastico l'inviato della radio tv del Lussemburgo, Jean-Pierre Thilges – lo sappiamo bene che anche la Rai è sotto il controllo di Berlusconi. Coraggiosa la regista ad aver raccontato in modo comprensibile per chi non lo sa tutto quello che sta accadendo da voi. Quello che non capisco è perché gli italiani continuino a votarlo. Evidentemente perché non sanno queste cose per via del potente controllo sui media. Certo è che non vorrei proprio vivere in Italia».
Un vero terremoto, insomma, quello che si è abbattuto ieri a Cannes sull' immagine del divo di Arcore. Le recensioni del film si leggeranno soltanto oggi, ma intanto gli addetti stampa francesi già parlano di unanime consenso, a parte Le Figaro, ovviamente, noto per le sue posizioni di destra.
Radiosa, in abito rosa da gran diva, è poi Sabina Guzzanti che, in mattinata, si è concessa finalmente alla stampa di settore italiana, alla quale si era sottratta per il lancio in sala del film. Che, intanto, sta andando alla grande: 413mila euro di incassi. Qui da Cannes Sabina non lesina i commenti. Parla di «deriva autoritaria», di «profonda crisi culturale» di «eversione e colpo di stato» da parte di Berlusconi. «Lo sanno tutti – dice come funzionano le cose in Italia. Se lui vuole la Repubblica presidenziale è senz' altro un suo diritto, ma per averla non continui a inquinare il Parlamento con i suoi fisioterapisti e sovvertendo i principi costituzionali. Questa si chiama eversione e colpo di Stato».
E CHI L’HA INVITATO?
Quanto a Bondi, che ieri ha reso noto di aver visto il film della discordia, Sabina rivela, «nessuno l'aveva invitato». Ma certo che il suo forfait è stato un bel colpo per Draquila. «Quando ha detto no a Cannes abbiamo pensato: evviva, è tutta pubblicità gratuita. Gli mandiamo una cassa di champagne. Ma poi abbiamo capito: le sue sparate sono rivolte a non far vedere il film alla grande massa dei suoi elettori. La loro politica è quella di far passare gli oppositori al governo come degli estremisti. A me più volte hanno dato della posseduta dal demonio». Il risultato, dunque, prosegue Sabina, «non è censurare il film, ma riuscire a censurare quelli che la pensano come loro. Chi legge Il Giornale e vede le reti Mediaset non ha contatti col mondo. E così devono rimanere».
La colpa dell'opposizione, rappresentata malinconicamente nel film con la tenda vuota del Pd, è stata la sottovalutazione del pericolo. «Un un atto di superficialità e di arroganza da parte della sinistra», dice la Guzzanti. A cominciare dallo sposare la tesi di Montanelli buonanima: “lasciatelo governare”». Sui motivi dell'assenza dell'opposizione Sabina preferisce non soffermarsi, «perché sono profondi. Ma del resto basta guardare all'Europa per capire che non riguardano solo noi. In Francia, ed ora pure in Inghilterra, si dibatte soLo su chi deve essere il leader, il nuovo Obama».
Dall’altra parte Berlusconi per la prima volta risponde a Sabina: «Io un dittatore? Assurdo, basta che accendiate la tv e vedrete che in tutte le trasmissioni ci sono solo attacchi contro di me e il Governo». Lo avrebbe detto ad una cena a Palazzo Grazioli. ❖
l’Unità 14.5.10
«La guerra di Gaza causò mutazioni genetiche»
Rapporto shock sui danni provocati dall’uso di armi segrete nel conflitto lanciato da Israele. Sui corpi feriti trovati metalli tossici e sostanze cancerogene
Le analisi condotte dai ricercatori di tre Università, coinvolta anche Roma
di Umberto De Giovannangeli
Le analisi. Condotte dai ricercatori di tre Università, coinvolta anche Roma
Mezzi sperimentali. Non hanno lasciato schegge o frammenti sui corpi colpiti
La guerra di Gaza non ha curato la ferita che avevamo disperatamente bisogno di medicare. Al contrario, ha rivelato ancor più i nostri errori di rotta, tragici e ripetuti, e la profondità della trappola in cui siamo imprigionati». Così scriveva David Grossman riflettendo sulle conseguenze dell'operazione Piombo Fuso scatenata da Israele nella Striscia di Gaza. Quella ferita continua a sanguinare e come un tragico Vaso di Pandora da quella prigione a cielo aperto e isolata dal mondo che è Gaza, continuano a uscire notizie raccapriccianti.
Come la storia che l'Unità ha deciso di raccontare dopo aver compiuto i necessari riscontri. Una storia sconvolgente. Metalli tossici ma anche sostanze carcinogene, in grado cioè di provocare mutazioni genetiche. È quanto individuato nei tessuti di alcune persone ferite a Gaza durante le operazioni militari israeliane del 2006 e del 2009. L'indagine ha riguardato ferite provocate da armi che non hanno lasciato schegge o frammenti nel corpo delle persone colpite, una particolarità segnalata più volte dai medici di Gaza e che indicherebbe l'impiego sperimentale di armi sconosciute, i cui effetti sono ancora da accertare completamente.
La ricerca, che ha messo a confronto il contenuto di 32 elementi rilevati dalle biopsie attraverso analisi di spettrometria di massa effettuate in tre diverse università, La Sapienza di Roma, l'Università di Chalmer (Svezia) e l'Università di Beirut (Libano) è stata coordinata da New Weapons Research Group (Nwrg), una commissione indipendente di scienziati ed esperti basata in Italia che studia l'impiego delle armi non convenzionali per investigare i loro effetti di medio periodo sui residenti delle aree in cui vengono utilizzate. La rilevante presenza di metalli tossici e carcinogeni, riferisce la commissione in un comunicato, indica rischi diretti per i sopravvissuti ma anche di contaminazione ambientale. I tessuti sono stati prelevati da medici dell'ospedale Shifa di Gaza City, che hanno collaborato a questa ricerca e classificato il tipo di ferita delle vittime. L'analisi è stata realizzata su 16 campioni di tessuto appartenenti a 13 vittime.
I campioni che fanno riferimento alle prime quattro persone risalgono al giugno2006, periodo dell' operazione «Piogge estive». Quelli che appartengono alle altre 9 sono state invece raccolti nella prima settimana del gennaio 2009, nel corso dell'operazione Piombo Fuso.
Tutti i tessuti sono stati esaminati in ciascuna delle tre università. Inglobare schegge o respirare micropolveri di tungsteno, metallo pesante e notoriamente cancerogeno, non potrà che provocare nella popolazione sopravvissuta o che vive nei dintorni un aumento della frequenza di insorgenze tumorali.
Sono stati individuati quattro tipi di ferite: carbonizzazione, bruciature superficiali, bruciature da fosforo bianco e amputazioni. Gli elementi di cui è stata rilevata la presenza più significativa, in quantità molto superiore a quella rilevata nei tessuti normali, sono: alluminio, titanio, rame, stronzio, bario, cobalto, mercurio, vanadio, cesio e stagno nei campioni prelevati dalle persone che hanno subito una amputazione o sono rimaste carbo-
nizzate; alluminio, titanio, rame, stronzio, bario, cobalto e mercurio nelle ferite da fosforo bianco; cobalto, mercurio, cesio e stagno nei campioni di tessuto appartenenti a chi ha subito bruciature superficiali; piombo e uranio in tutti i tipi di ferite; bario, arsenico, manganese, rubidio, cadmio, cromo e zinco in tutti i tipi di ferite salvo che in quelle da fosforo bianco; nichel solo nelle amputazioni. Alcuni di questi elementi sono carcinogeni (mercurio, arsenico, cadmio, cromo nichel e uranio), altri potenzialmente carcinogeni (cobalto, vanadio), altri ancora fetotossici (alluminio, mercurio, rame, bario, piombo, manganese). I primi sono in grado di produrre mutazioni genetiche; i secondi provocano questo effetto negli animali ma non è dimostrato che facciano altrettanto nell’uomo; i terzi hanno effetti tossici per le persone e provocano danni anche per il nascituro nel caso di donne incinte: sono in grado, in particolare l'alluminio, di oltrepassare la placenta e danneggiare l’embrione o il feto. Tutti i metalli trovati, inoltre, sono capaci anche di causare patologie croniche dell’apparato respiratorio, renale e riproduttivo e della pelle. La differente combinazione della presenza e della quantità di questi metalli rappresenta una «firma metallica».
«Nessuno – spiega Paola Manduca, che insegna genetica all'Università di Genova, portavoce del New Weapons Research Group – aveva mai condotto questo tipo di analisi bioptica su campioni di tessuto appartenenti a feriti. Noi abbiamo focalizzato lo studio su ferite prodotte da armi che non lasciano schegge e frammenti perché ferite di questo tipo sono state riportate ripetutamente dai medici a Gaza e perché esistono armi sviluppate negli ultimi anni con il criterio di non lasciare frammenti nel corpo. Abbiamo deciso di usare questo tipo di analisi per verificare la presenza, nelle armi che producono ferite amputanti e carbonizzanti, di metalli che si depositano sulla pelle e dentro il derma nella sede della ferita”. «La presenza – prosegue – di metalli in queste armi che non lasciano frammenti era stata ipotizzata, ma mai provata prima. Con nostra sorpresa, anche le bruciature da fosforo bianco contengono molti metalli in quantità elevate. La loro presenza in tutte queste armi implica anche una diffusione nell'ambiente, in un'area di dimensioni a noi ignote, variabile secondo il tipo di arma. Questi elementi vengono perciò inalati dalla persona ferita e da chi si trovava nelle adiacenze anche dopo l'attacco militare. La loro presenza comporta così un rischio sia per le persone coinvolte direttamente, che per quelle che invece non sono state colpite». L'indagine fa seguito a due ricerche analoghe del Nwrg. La prima, pubblicata il 17 dicembre 2009, aveva individuato la presenza di metalli tossici nelle aree di crateri prodotti dai bombardamenti israeliani a Gaza, indicando una contaminazione del suolo che, associata alle precarie condizioni di vita, in particolare nei campi profughi, espone la popolazione al rischio di venire in contatto con sostanze velenose.
La seconda ricerca, pubblicata il 17 marzo scorso, aveva evidenziato tracce di metalli tossici in campioni di capelli di bambini palestinesi che vivono nelle aree colpite dai bombardamenti israeliani all'interno della Striscia di Gaza. Una conferma viene anche da attendibili fonti mediche palestinesi indipendenti a Gaza City contattate dall'Unità. Tra queste, Thabet El-Masri, primario del reparto di terapia intensiva presso l’ospedale Shifa di Gaza, il dottor Ashur, direttore dello Shifa Hospital e il dottor Bassam Abu Warda direttore della struttura medica attiva a Jabalya, il più grande campo profughi della Striscia (300mila persone).
«L'occupazione di Gaza – riflette Gideon Levy, una delle firme del giornalismo israelianoha semplicemente assunto una nuova forma: un recinto al posto delle colonie. I carcerieri fanno la guardia dall'esterno invece che all'interno». Ed è una «guardia» spietata.❖
l’Unità 14.5.10
India e Cina. Due colossi senza stabilità
Scenari globali È uno degli economisti più importanti del subcontinente e nel suo ultimo libro cita Tien An Men, Woodstock, le Br e il fascismo La sua tesi: l’infinita transizione di «Cindia» al capitalismo comporterà conflitti
di Maria Serena Palieri
Cindia? Dopo il profluvio di saggi di economisti, sociologi, giornalisti occidentali sull' affascinante «mistero» del boom asiatico, ecco una voce diversa. Prem Shankar Jha, indiano settantunenne laureato a Oxford, considerato tra i massimi economisti del pianeta, già autore del Caos prossimo venturo tradotto da noi nel 2007, in Quando la tigre incontra il dragone (in uscita in Italia anch'esso per Neri Pozza) offre una lettura inedita di quanto avviene in Cina e in India. È vero che Cindia si avvia a diventare egemone nel pianeta e che l'Occidente è irrevocabilmente destinato alla zona d'ombra? Quando la tigre incontraildragoneèunsaggiofluviale,dove Shankar Jha ripercorre anche la nostra storia novecentesca, leggendo con occhio originale fascismo e Woodstock, guerre mondiali e Br. Ma veniamo al terzo millennio e a quest'Asia ruggente, dove i dirigenti del Pc cinese girano in Rolls mentre i contadini indiani 200 mila dal 2002 si suicidano in massa. Jha dice che questo saggio nasce da un «se»: nel rapporto sui cosiddetti Brics (Brasile, Russia, India, Cina) Goldman Sachs, nel 2005, affermava che gliultimiduepaesipotevanoconquistare l'egemonia entro il 2050 «se» avessero raggiunto una stabilità politica. Perché quel “se” ha colpito la sua immaginazione di studioso? «Perché entrambi i paesi stanno affrontando una fase di transizione non solo verso un'economia, ma verso una società capitalista. E questa transizione lì dove è già avvenuta, in Europa e negli Usa, ha provocato conflitti. La forza trainante del capitalismo è la concorrenza. Dentro il capitalismo c'è sempre un conflitto, c'è chi vince e chi perde. In Europa, e in misura minore negli Usa, il conflitto si è ricomposto grazie a sindacati, democrazia e Welfare, esattamente in quest'ordine. Il capitalismo si è umanizzato, ma il processo non è avvenuto automaticamente, è stato frutto di una lotta politica che è durata duecento anni».
In India e Cina esistono le condizioni perché il capitalismo si umanizzi? «La Cina potrebbe arrivare già prima del 2030 ad avere un'economia, in dollari, molto più grande di quella statunitense. Ma in Cina non c'è democrazia, i sindacati sono solo portavoce del governo e quanto al Welfare, ciò che c'era ai tempi di Mao è stato distrutto. In Cina il conflitto sociale cresce in modo costante e non ci sono istituzioni che possano contenerlo. Lo strumento confuciano che il sistema concedeva ai cinesi per reclamare giustizia, il cosiddetto 'diritto all'appello', è stato travolto dalla corruzione che pervade il Partito comunista a tutti i livelli. In Cina il problema non è solo politico, è morale».
La storia del suo Paese è diversa: Gandhi, Nehru... «In India c'è una democrazia vivace, vibrante. La percentuale di votanti cresce a ogni elezione. L'India è caratterizzata da un'enorme diversità, più di trecento minoranze etniche, con quindici principali cui fanno capo 150-200 milioni di cittadini. Questo, senza neppure parlare delle caste. Tra questi gruppi, salvo poche eccezioni, c'è armonia sociale. C'è un senso di appartenenza comune ed è ciò che si manifesta quando si va al voto. Eppure anche da noi ci sono difficoltà analoghe a quelle cinesi. Il sistema politico ancora non riesce a raccogliere la sfida che viene dal capitalismo. Il problema è nel fatto che la convivenza delle minoranze produce una divisione verticale della società, mentre la riconciliazione sociale deve avvenire in modo orizzontale. È il capitalismo a dividere la società orizzontalmente, tra ricchi e poveri, in modo trasversale a etnìe e fedi religiose. E cos'è successo in India negli ultimi sessant'anni? Preoccupati per la convivenza tra minoranze, non ci siamo accorti che la borghesia aveva preso il controllo: tra il 1956 e il 1991 commercianti, imprenditori, ricchi agricoltori avevano messo le mani sul governo. Dopo la liberalizzazione del '91, il giro d'affari si ingigantisce. Ma eccoci al problema politico squisitamente indiano: la macchina democratica costa e, a differenza di quanto avviene in molti paesi europei, il governo indiano non ha mai formulato leggi né stanziato fondi a questo scopo. Il sistema da noi è simile a quello della Gran Bretagna, ma mentre lì un candidato deve confrontarsi con un distretto di 60.000 elettori, in India un distretto copre 6.000 kmq, con un bacino di 1.200.000 votanti. Un candidato spende per la sua campagna tra un milione e tre milioni di dollari. E modi legali di raccogliere fondi non ci sono. Allora chi paga? Le grandi aziende, di nascosto. Per i poveri perciò lo Stato è per natura un nemico. I poveri vedono il nemico nei burocrati, nella polizia, nel mondo dei grandi affari. È vero: lo Stato si 'sdebita' regalando alle imprese soldi per erigere infrastrutture. Si costruiscono strade e dighe nelle terre dei più poveri, ma nessuno dà loro niente in cambio. Il risultato è questo: l'India partiva da un passato egualitario, la crescita economica ha migliorato lo stile di vita dell'80% della popolazione. Ma c'è un 20% che sta peggio. E a questi la politica non sa dare risposte».
Lei dedica nel suo saggio uno spazio importante a Tian an Men. Ne dà una lettura diversa da quella che ce ne diedero allora i nostri media. Perché Tiananmen fu il momento in cui la Cina perse il treno per una conciliazione tra sviluppo economico e una propria, originale, democrazia?
«Tian an Men fu frutto di un movimento d'élite, studenti, lavoratori dell'industria ed esponenti dello stesso Pcc, la prima ribellione all'ineguaglianza che andava nascendo e in nome degli ideali che si andavano perdendo. All'epoca i contadini stavano ancora bene. Il governo ci mise sei lunghe settimane a reprimere la rivolta. Perché? Non voleva giustiziare la futura classe di governo. Ma, Prem Shankar Jha è uno dei massimi economisti indiani. Tra il 1986 e il 1990 è stato il corrispondente indiano dell’Economist, e nel 1990 è diventato collaboratore del primo ministro V.P. Singh. Dal 1997 al 2000 ha insegnato all’Università della Virginia. Il suo libro più celebre è «Il caos prossimo venturo».
dopo Tiananmen, fu imposta la linea dell'arricchimento veloce, per emarginare gli scontenti e chi denunciava la corruzione. Ha funzionato fino al '97. Poi con la recessione hanno cominciato a imporre tasse illegittime: oggi gli scontenti tra i contadini sono 60 volte più che allora». L'Europa nel suo saggio non ha spazio: non è uno dei “giocatori”. Cosa pensa della crisi dell'eurozona?
«Obama mi ha dato speranza. Ma c'è la crisi dell'euro, Usa e Gran Bretagna, con la politica di spesa, non hanno raggiunto i risultati sperati, dal 2003 i conflitti di India e Cina sono diventati più evidenti. I poteri stabilizzati da tempo collassano, i paesi nuovi sono tormentati da guerre intestine. E, legato a tutto questo, c'è il problema del riscaldamento globale. Il mondo è in una crisi esistenziale. E il fatto è che abbiamo pochissimo tempo per capire come affrontarla».
l’Unità 14.5.10
Abbiamo bisogno di eroi
di Carlo Lucarelli
Parlare di Emilio Fede in un confronto con Roberto Saviano, sia dal punto di vista umano che civile e giornalistico, sarebbe come sparare sulla Croce Rossa e io non lo faccio. Prendo spunto, quindi, da una delle tante sciocchezze devo ripetere questo termine già usato qui in precedenza più o meno allo stesso proposito per fermarmi sul concetto di eroe. Benedetto il paese che non ha bisogno di eroi, diceva Bertold Brecht. Bene: noi non siamo quel paese.
Quel paese che non ha bisogno di eroi è un paese in pace e con una società così matura da non avere bisogno di simboli, stimoli ed esempi. Noi non siamo quella società.
Siamo un paese in guerra la guerra contro le Mafie di cui abbiamo tutti i giorni coscienza attraverso crimini, sequestri, arresti e denunce che ha bisogno continuamente di essere risvegliato e allarmato. Saviano, col suo essere scrittore e giornalista, col suo essere intellettuale ma anche soltanto col suo essere Saviano, fa esattamente questo. Come hanno fatto tante altre persone che devono essere chiamate eroi, da coloro che sono stati uccisi a quelli che ogni giorno testimoniano della lotta alla mafia senza avere addosso i riflettori che ha Saviano. Riflettori che vanno benissimo: abbiamo sempre denunciato il silenzio attorno alla Mafia, che senso ha lamentarsi quando i riflettori arrivano, non importa chi se li tira dietro, anzi, grazie, soprattutto se lo fa sulla propria pelle.
Ora, un paio di domande ad Emilio Fede. La prima: che significa che Saviano è un rompiscatole? In che modo rompe? Che fa per rompere, che dice? Io lo conosco, seguo il suo lavoro, leggo le sue cose e non l’ho ancora capito.
La seconda, ed è più maliziosa: a chi le rompe, le scatole, Saviano?